
All’alba del Rinascimento si fa largo una nuova sensibilità, che da finalmente spazio all’io del poeta-musico. La spinta ad emergere della propria interiorità è favorita dalla cantabilissima lingua italiana, che tra il Quattro e il Cinquecento ha raggiunto piena maturità espressiva; ma fa leva anche sull’uso di strumenti musicali in grado di competere con la voce cantante, in particolare la viola da gamba.
Strumento ad arco di importazione spagnola, ha una fonica spiccatamente armonica, il che significa, quanto al suono, spessore, profondità, pastosità.
Cantare alla viola diventa prassi particolarmente apprezzata, sia nella soluzione dell’intonare versi di carattere epico, leggendario, narrativo, improvvisando armonie e passaggi per sottolineare i contenuti e gli stati d’animo insiti nel testo sia, realizzando una composizione polifonica di tipo frottolistico o madrigalistico, nel suonare una parte e cantarne un’altra, insieme ad altre voci o strumenti sempre ad arco.
Tale modo di far musica, certamente affiancata dalla lettura di passi poetici dei grandi dell’epoca, a partire da Francesco Petrarca, rappresentò un modo stimolante di condividere momenti creativi di intrattenimento ma anche di apprendere con lo strumento e la voce insieme, per elevarsi al modo del cantore Orfeo che, mitico semi-dio greco, durante il Rinascimento tornò a simboleggiare la creatura umana pienamente musicale.
Tale immagine fu davvero avvincente, in particolare grazie alle specifiche caratteristiche dello strumento ad arco; e lo fu a tal punto che permise ai poeti e musici del tempo di aprire il cuore nell’esprimere attese, speranze e disillusioni, amori e passioni, su un fondale che talora sa di melanconia talaltra di gioco, altre volte ancora di sofferta amara solitudine.
In ogni caso, musica e poesia specchio dell’animo umano.
Repertorio: J. Arcadelt, Ph. Verdelot, A. Willaert, V. Ruffo, F. Petrarca
Ingresso libero offerta consapevole